L'utilizzo del supporto informatico è senza alcun dubbio di grande utilità didattica nell'insegnamento della matematica: grazie a programmi specifici, come Cabrì o Derive, finalmente si possono visualizzare grafici, andamenti funzionali, sinusoidi e funzioni trigonometriche ecc, non solo rendendo agli studenti più chiara e concreta la teoria, ma anche evitando figuracce agli insegnanti di matematica che, ahimè, non sono quasi mai novelli Giotto. martedì 13 novembre 2007
Matematica e multimedialità
L'utilizzo del supporto informatico è senza alcun dubbio di grande utilità didattica nell'insegnamento della matematica: grazie a programmi specifici, come Cabrì o Derive, finalmente si possono visualizzare grafici, andamenti funzionali, sinusoidi e funzioni trigonometriche ecc, non solo rendendo agli studenti più chiara e concreta la teoria, ma anche evitando figuracce agli insegnanti di matematica che, ahimè, non sono quasi mai novelli Giotto. sabato 3 novembre 2007
Le analisi sull'infinito di Galileo e la teoria degli insiemi di Cantor
1- Classe cui è diretta l’U.D. Questa unità didattica è finalizzata alla trattazione dell’insiemi numerici e della loro cardinalità, obiettivo inserito nella programmazione annuale della classe IV di un Istituto Tecnico Commerciale o in una classe V di un Liceo Scientifico.
2- Finalità
Con l’insegnamento di questa unità didattica si vuole che lo studente :
- comprenda le motivazioni che hanno portato alla formulazione della teoria degli insiemi e l’importanza che essa ha avuto nelle scienze statistiche e dell’informazione;
- sviluppi il proprio senso critico.
3- Tempi
L’unità didattica richiede un tempo di svolgimento di 3 ore.
4- Argomento trattato
Nel 1638 Galileo scrisse “Dialoghi intorno a due nuove scienze”; in questo trattato lo scienziato pisano cercò di fare delle considerazioni sugli insiemi numerici, trovandosi però in gravi difficoltà nel formulare ipotesi sulla cardinalità (cioè sul numero di elementi) degli insiemi infiniti.
Galileo dimostrò l’esistenza di una corrispondenza biunivoca tra gli elementi di un sottoinsieme di N e gli elementi di N stesso.
Per arrivare a questa tesi Galileo considerò l’insieme dei quadrati di tutti i numeri interi; essi possono essere abbinati ad uno e un solo numero naturale:

Galileo, di fronte a questa incongruenza logica, concluse che le relazioni di “uguaglianza”, di “maggiore di” o “minore di” non sono applicabili agli insiemi infiniti, ma solo a quelli finiti, evitando quindi di lavorare con classi di grandezze non numerabili.
Ma come poter rimanere insensibili al fascino di una sfida matematica come questa?
La risposta non tardò infatti ad arrivare; fu il grande matematico tedesco Georg Cantor a tentare di risolvere il problema formulando una nuova teoria: la “teoria degli insiemi” che prende il suo nome.
Cantor partì proprio dal principio di corrispondenza biunivoca e lo rese parte della definizione stessa d’insieme:
“Per insieme intendiamo ogni unione, raccolta, aggregato, classe di oggetti determinati dalla nostra intuizione o dal nostro pensiero, ben distinti tra loro e che vengono chiamati elementi di un insieme[...]. Un insieme infinito è quello che si dimostra essere in corrispondenza biunivoca con un sottoinsieme proprio di se stesso”.[2]
In questo modo Cantor rispose al paradosso con cui Galileo si era scontrato nel trattare con insiemi infiniti.
Ma Cantor si rese conto che non tutti gli insiemi infiniti erano simili. Nel caso di insiemi finiti, si dice che due insiemi hanno la stessa cardinalità se possono essere messi in corrispondenza biunivoca gli uni con gli altri.
Per rappresentare il numero di elementi degli insiemi infiniti Cantor costruì una gerarchia di insiemi infiniti, a seconda della “potenza” dell’insieme. Cioè, per esempio, l’insieme di tutti i quadrati dei numeri naturali ha la stessa potenza di N stesso, per il fatto che questi insiemi possono essere messi in corrispondenza biunivoca l’uno con l’altro.Egli usò un particolare sistema di notazione; definì
(si legge "Alef con 0"), il numero transfinito che rappresenta la quantità d’interi nell’insieme di tutti gli N. Quindi se un insieme numerico può essere posto in corrispondenza biunivoca con N, allora esso stesso è un insieme "Alef con 0".
Ma come dimostrare l’esistenza di un insieme infinito con cardinalità maggiore dell’insieme "Alef con 0"? Cantor riuscì a provare in maniera definitiva che l’insieme R dei numeri reali, ha una potenza maggiore di quella dell’insieme delle frazioni razionali, la quale è anch’essa "Alef con 0"[3]. Per arrivare a questo asserto Cantor fece l’ipotesi che tutti i numeri fra 0 e 1 fossero numerabili, espressi da numeri decimali illimitati e che fossero ordinabili in ordine numerabile:

dove aij è una cifra compresa tra 0 e 1.
Cantor formò un numero decimale illimitato diverso da tutti quelli elencati, per dimostrare che non tutti i numeri reali sono compresi nel precedente ordinamento. Tale numero decimale, esprimibile come
dove bk=9 se akk =1 e bk=1 se akk ≠1. Questo numero è quindi diverso da tutti i numeri precedenti, ma sarà comunque compreso tra 0 e 1.
Con tale metodo Cantor dimostrò rigorosamente che esistono insiemi infiniti la cui cardinalità è maggiore di "Alef con 0", e quindi provò l’esistenza di una scala di infiniti all’interno della teoria degli insiemi trasfiniti.
[2] Contributi alla fondazione della teoria degli insiemi transfiniti, 1878-1883.
[3] La spiegazione di questo metodo, chiamato metodo della diagonale, è lunga e abbastanza tediosa. Rimando, chi fosse interessato, al testo “Il libro dei paradossi” di N. Falletta, dove il metodo è spiegato in maniera rigorosa con esempi grafici esplicativi, che in questo contesto non mi sembrava opportuno riproporre.
martedì 23 ottobre 2007
Il paradosso di Zenone, ovvero Achille e la tartaruga
Il paradosso di Zenone è finalizzato alla spiegazione delle serie a termini positivi convergenti, obiettivo inserito nella programmazione annuale della classe IV di un Istituto Tecnico Commerciale o in una classe V di un Liceo Scientifico.
2- Finalità
Con l’insegnamento di questa unità didattica si vuole che lo studente :
- rilevi i collegamenti esistenti tra i concetti matematici teorici dello studio delle serie e le motivazioni storiche e logiche che hanno portato alla scoperta del paradosso;
- impari a ragionare anche in termini di infinito;
- sviluppi il proprio senso critico.
L’unità didattica richiede un tempo di svolgimento di 2 ore.
4- Argomento trattato
Uno dei paradossi più famosi, sia in filosofia che in matematica, è quello di Zenone, che può essere spiegato in questi termini.
Supponiamo di far fare una gara di corsa con due soli partecipanti: il pelide Achille, l’uomo più veloce del mondo secondo la mitologia greca, e una tartaruga. Achille, in maniera più canzonatoria che magnanima, offre alla povera tartaruga un vantaggio di m metri. Se i corridori partono allo stesso tempo t, chi dei due taglierà per primo la linea d’arrivo?
Nessuno di noi avrebbe alcun dubbio a riguardo: il buon senso ci dice che Achille vincerà la gara senza sforzo alcuno, che sarà lui ad arrivare primo.
Ma Zenone ci dimostra il contrario:
“Secondo è l’argomento detto Achille. Questo sostiene che il più lento non sarà mai raggiunto nella sua corsa dal più veloce. Infatti è necessario che chi insegue giunga in precedenza là di dove si mosse chi fugge, di modo che necessariamente il più lento avrà sempre un qualche vantaggio. Questo ragionamento è lo stesso di quello della dicotomia […]” Aristotele, Fisica, VI, 9.
Ipotizziamo che Achille sia 10 volte più veloce della tartaruga e che quest’ultima parta con un vantaggio di 100 metri; ora, mentre Achille avanza di 100 metri in un tempo t, la tartaruga si sarà portata avanti di 10 metri nel medesimo t. Achille a questo punto per raggiungere la tartaruga dovrà colmare questa nuova distanza: ma in questo lasso di tempo la tartaruga sarà avanzata di 1 metro; e quando Achille avrà superato questo nuovo distacco, la tartaruga sarà avanzata di 0,1 metri e così via all’infinito. Questo significa che Achille non potrà mai raggiungere la tartaruga.
Da un punto di vista logico questo ragionamento non sembra fare una grinza; in realtà si giunge ad una tesi errata in quanto l’ipotesi fatta è in se stessa fallace.
Ci sono voluti quasi duemila anni affinché filosofi e matematici dessero una risposta soddisfacente a questo paradosso. Questa scoperta venne fatta solo dopo la fine dell’800; fu proprio grazie al paradosso di Zenone che i matematici concepirono l’idea delle serie infinite convergenti, e giunsero in breve tempo a dimostrare che una serie numerica, nonostante la sua infinità di addendi, può convergere ad un numero finito, cioè
Nel caso specifico dell’esempio precedente bisogna risolvere la seguente somma:
Questa serie è convergente, essendo n>1, in quanto serie geometrica di ragione q, con q compreso tra (-1,1). Ciò dimostra dunque che in realtà Achille supererà la tartaruga ad un determinato t in quanto risulta finita la distanza che Achille dovrà percorrere per raggiungere la tartaruga, e di conseguenza risulta pure finito il tempo che il mitico Piè veloce impiegherà per sorpassare l’umile tartaruga. Infatti, dopo metri ad un certo tempo t1, Achille avrà raggiunto la tartaruga e da questo momento in poi l’avrà definitivamente superata.
Paul Valèry scrisse, in merito a questo paradosso:« Zénon! Cruel Zénon! Zénon d’Elée!
M’as-tu percé de cette fléche ailée
Qui vibre, vole, et qui ne vole pas !
Le son m’enfante et la fléche me tue !
Ah ! le soleil... Quelle ombre de tortue
Pour l’âme, Achille immobile á grands pas ! »[1]Non concordo con i detrattori di Zenone, che lo accusano di non essersi reso conto che la somma di infiniti segmenti può benissimo essere finita; in questo senso acconsento col Prof. Frajese che afferma che non tutti i paradossi sono frutto di scarsa conoscenza: molto spesso costituiscono una dimostrazione per assurdo contro alcune teorie non condivise pienamente; nello specifico Frajese pone Zenone in netta discordanza con la geometria democritea dell’atomismo seguita dai Pitagorici:
“I paradossi di Zenone rientrerebbero quindi nella fase cosiddetta della razionalizzazione della geometria, in cui si passò da una concezione della retta intesa materialmente a un ideale, con il conseguente necessario superamento del ruolo del numero razionale, caro ai Pitagorici che in esso scorgevano una manifestazione dell’armonia dell’universo, mediante l’introduzione di misure irrazionali.”
[1] Zenone! Crudele! Zenone eleata! M’hai tu trafitto con la freccia alata, che vibra, vola, eppure in vol non è! Mi dà il suon vita che la freccia fuga, ah! Questo sole...ombra di tartaruga per l’io, l’ immoto Achille lesto piè!
I paradossi in matematica
Potrebbe essere interessante trattare come tema epistemologico i paradossi matematici. Penso che questo argomento aiuti a sviluppare il senso critico e dimostri agli alunni come la matematica sia una scienza viva e in continua crescita.E’ bene introdurre l’argomento, in qualsiasi classe si tratti, definendo il paradosso: la parola deriva dal greco παράδοξος (parà e doxa), il cui significato è “essere contrario all’opinione comune”.
Dunque il paradosso si presenta quando si riscontrano fatti, eventi, situazioni che proprio non ci si aspettava di incontrare.
La cultura occidentale, dai primi albori della filosofia greca agli odierni studi informatici, è caratterizzata dalle presenze, spesso ingombranti, di contraddizioni, antinomie, non sensi che hanno generato vere e proprie rivoluzioni nell’ambito di quella scienza in cui venivano riscontrati.
Se volessimo creare la cronologia di questi fenomeni, comunemente chiamati paradossi, dovremmo andare indietro nel tempo fino al V secolo a.C., anno in cui si crede siano nati il paradosso del mentitore e quello di Zenone; da allora sono state riscontrate tantissime contraddizioni logiche negli ambiti di scienze più disparate: dalla logica filosofica, alla matematica, dalla musica all’arte figurativa.
Di esempi se ne possono fornire moltissimi: Eubulide, filosofo greco del VI sec.a.C. scopre una contraddizione logica nella frase “Mento, quando dico di mentire?”; Galileo, intorno al 1630, riscontra contraddizioni di notevole rilevanza nel lavorare con gli insiemi numerici infiniti; ancora, nella metà del ‘700 nella sua Offerta musicale, Bach riesce a musicare un canone eternamente ascendente[1]; i paradossi della teoria insiemistica cantoriana sono famosi a tutti i matematici per aver generato l’antinomia di Russell e per essere successivamente sfociati nei teoremi di Gödel.
Chiaramente non è possibile presentare in una scuola superiore tutti i paradossi matematici che si sono presentati nell’arco dei secoli; ce ne sono alcuni, però, di grande valenza didattica che analizzerò utilizzando lo schema della unità didattica.
[1] Nell’ Offerta musicale le due voci del coro salgono di tonalità (un’ottava) per sei volte, facendo credere all’orecchio dell’ascoltatore di raggiungere regioni tonali sempre più lontane; Bach invece stupisce paradossalmente l’uditore ristabilendo “magicamente”, al termine della sesta modulazione, la tonalità di partenza.
domenica 21 ottobre 2007
L'epistemologia della matematica
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Personalmente ritengo che questo modo di fare matematica sia molto riduttivo e deleterio, non solo per gli studenti, ma anche per un paese che, in questo modo, crea a priori una selezione intellettuale netta tra chi manifesta, nei primi anni della scuola media, una spiccata intelligenza logica (la minoranza) e tutti gli altri.
Ma non è questo il luogo per descrivere come, dal mio punto di vista, sarebbe più educativo e culturalmente utile insegnare matematica nella scuola superiore; in questo blog spero di riuscire a spiegare come, secondo il mio parere, sia utile sfruttare quella percentuale di ore di lezione che il docente può utilizzare a sua discrezione per trattare quegli argomenti epistemologici che ritiene più opportuni.
L’epistemologia non solo ha il merito di motivare l’utilizzo delle tecniche matematiche, ma appassiona anche gli studenti, perché da’ loro la possibilità di inquadrare storicamente e logicamente formule e formalismi propri della materia. Per esempio, spiegare le proprietà dei logaritmi, omettendo chi e perché li ha inventati, permette ugualmente allo studente di impararli, ma gli si nega di comprendere le motivazioni pratiche che ne hanno richiesto l’uso. A me capitava, quando studiavo, di chiedermi:” Ma perché il tal matematico si è alzato quella mattina e si è inventato tale funzione? Ma a cosa serve?” Queste domande se le fanno spesso gli studenti: non bisogna pensare che gli alunni siano contenitori che non si pongono domande. Sono loro i primi a chiedersi il perché; allora, per quale motivo non dobbiamo colmare le loro richieste, dimostrando che tutto ciò che viene insegnato loro ha un preciso motivo e una specificità propria?
mercoledì 10 ottobre 2007
Matematica e filosofia
E' opinione comune che la matematica sia una scienza arida e poco creativa; se sostenessi, senza darne una valida giustificazione, che, al contrario, la matematica é filosofia, è arte, è musica, la maggior parte delle persone ( i non "addetti ai lavori", ma non solo) riterrebbero quest'affermazione assurda o proveniente da un fanatico della materia. La motivazione di questa incredulità generale deriva dal fatto che, in Italia, questa scienza è insegnata quasi esclusivamente come mezzo, come strumento da utilizzare meccanicamente per risolvere problemi generalmente lontani dalla vita reale, modelli formali di cui avvalersi per determinare una soluzione richiesta. Ma questa NON è matematica; questa è semplicemente una trasmissione nozionistica di un insieme eterogeneo di regole e meccanismi che non hanno giustificazioni educative, se tolte dal contesto in cui sono poste. Insegnare matematica è molto di più; è sviluppare le potenzialità LOGICHE, non meccaniche, degli studenti, permettendo loro di far proprio un metodo di ragionamento da poter applicare quando ce ne sia l'esigenza.